Sono trascorsi sessant'anni da quando l'ardito meccanico e imprenditore italiano, Ferruccio Lamborghini, diede vita a un’impresa automobilistica che ridefinì il concetto di lusso, prestazioni e stile del XX secolo. Era il 7 maggio 1963 quando Lamborghini riuscì ad imporsi su un territorio già affollato da Ducati, Ferrari e Maserati, diventando un simbolo di prestigio, potenza ed emozioni al limite a livello internazionale. Un mito da guidare e vivere nel segno del Toro.
L'incontro-scontro tra due personalità titaniche
Ferruccio Lamborghini, il genio meccanico dietro la Lamborghini Trattori, aveva una tale passione per le auto di lusso tanto da possedere due esemplari di Ferrari. Eppure, questi due gioiellini rampanti, secondo lui, non erano esenti da difetti. In particolare, a tormentare Lamborghini erano le frizioni, che sostituì con quelle dei trattori. Con lo spirito del collega, si recò da Enzo Ferrari per condividere il suo consiglio. Ma ricevette in cambio un disprezzo glaciale: Ferrari, sicuro del proprio dominio nel mondo delle supercar, accusò Lamborghini di non saper guidare le sue auto e lo invitò a tornare ai suoi trattori. Fu un affronto che scatenò la fiamma della determinazione di Lamborghini.
Dieci giorni dopo quell’incontro, Lamborghini prese una decisione che avrebbe cambiato il corso della storia: realizzare da sé l’auto supersportiva perfetta, dando vita al suo dorato toro selvaggio, simbolo di tenacia, eleganza e potenza. E così, portò via i migliori tecnici di Ferrari e progettò la prima Lamborghini. La perfetta combinazione tra eleganza italiana e potenza bruta.
Il primo ruggito del mito
A Sant’Agata Bolognese, Lamborghini mise in moto il suo sogno creando uno stabilimento che accolse la prima delle sue creature: il prototipo 350 GTV, un modello avanguardistico e raffinato allo stesso tempo. Poi, il 1966, è la Miura – dal nome di una razza di tori – a rubare la scena con le sue linee affascinanti e il suo design avveniristico curato dal leggendario Nuccio Bertone. Sotto il cofano, un cuore ribelle mai visto prima: un motore V12 da 350 CV capace di spingere la vettura a velocità strabilianti; passate alla storia anche le sue lunghe “ciglia” sui fari anteriori, il segno distintivo, carismatico e potente, della vettura.
Tauromachia, prestazioni e design sensazionale
Tutti i nomi de bolidi Lamborghini sono un omaggio alla tauromachia: dall’iconica coupé granturismo Espada del 1968, l’arma del colpo letale nella corrida, alla Jarama del 1970, dedicata a un territorio della Spagna nota per i suoi allevamenti di tori, oltre a distinguersi per forme audaci e fuori dal coro, capaci di infrangere ogni confine dell’immaginazione. Basti pensare alla leggendaria Countach degli anni ’70 e ’80, con le sue linee taglienti e la porta ad apertura verticale, o alle iconiche Diablo, Gallardo, Aventador e Huracán, che hanno continuato ad incarnare l’estetica aggressiva distintiva dell’azienda, spinte dal ruggito selvaggio dei motori V12 e V10, che alimentano prestazioni fuori dal comune e che fanno di Lamborghini un sinonimo ineguagliabile di potenza.
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L’evoluzione di un’icona
Ma ha saputo evolversi con il tempo, abbracciando l'innovazione tecnologica e l’attenzione alla sostenibilità senza mai perdere di vista la sua anima di supercar esclusiva. Le recenti new entry alla casa di Sant’Agata Bolognese, come l'Urus, il primo SUV della casa automobilistica e la prima ibrida a 12 cilindri, la Revuelto, dimostrano la sua capacità di evolversi senza sacrificare il suo DNA distintivo.
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Mentre celebriamo i suoi sei decenni di successi, ce ne rendiamo conto: Lamborghini continuerà ancora a scrivere la sua epica storia di potenza e passione, varcando, ancora una volta, ogni limite.